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libro iii. 187

     1635Un’intrepida, invitta, oltre ogni dire
     Gagliarda possa, e turgide le braccia
     Gli si fêr di vigore. E qual bramoso
     Della battaglia il marzïal destriero
     Scalpita, il suol zappa nitrendo, e rizza
     1640Orgoglioso gli orecchi, e il collo inalbera,
     Tal l’Esónide anch’ei nella fortezza
     Esultò di sua membra, ed alto il passo
     Qua e là slanciava, il bronzeo scudo e l’asta
     In man squassando, e lo diresti un fulmine
     1645Che nell’aer tenebroso e tempestoso
     Ad or ad or lampeggia in fra le nubi
     Che d’indi a poco d’una negra pioggia
     Giù riversano un nembo. Allor più indugio
     Non frapposero i Minii: entro la nave
     1650Collocaronsi tutti in ordinanza,
     E remigando a tutta voga, al campo
     Si spinsero di Marte. Era quel campo
     Dinanzi e presso alla città di tanto,
     Quanto lungi la mèta è dalle mosse
     1655Nell’arringo de’ cocchi, allor che a fanti
     E cavalieri è delle corse inditto
     Per morto sire un funeral certame.
     Trovâr quivi ed Eeta e delle Colche
     Genti gran turba, insù Caucasei scogli
     1660Stanti queste a prospetto, e il re su ’l margo
     Sinuoso del fiume. Ebbero appena
     Amarrato il naviglio i Minii eroi,
     Ratto Giason d’asta e di scudo armato