Pagina:Apollonio Rodio - Gli Argonauti, Le Monnier, 1873.djvu/179


libro iii. 153

     Nè consiglio cred’io tanto qui giovi,
     Quanto forza di mano. E se tu pensi,
     Eroe Giason, poter d’Eeta i tori
     Sopporre al giogo, e sostener l’incarco,
     670Via! la promessa ad osservar t’accingi.
     Ma se l’animo tuo non ben s’affida
     Del poter tuo, nè là tu andar, nè gli occhi
     Gittar sovra veruno altro di noi;
     No ’l soffro io, no. D’ogni travaglio alfine,
     675L’ultimo fia d’ogni dolor la morte.
L’Eácide sì disse. A Telamone
     L’animo si riscosse, e in piè repente
     Concitato balzò. Surse per terzo
     Ida che assai di suo valor presume;
     680Poi di Tindaro i figli, e quel d’Eneo,
     Che fra’ prodi garzoni ha già suo loco,
     Benchè sovra la guancia il primo pelo
     Non ancor gli fiorisca: in tanta forza
     Il suo spirto s’eleva. A questi gli altri
     685Cesser tacendo; ed Argo allor sì disse
     A quei che ardean di far battaglia: Amici,
     Questa esser debbe ultima cosa. Io spero
     Che d’aita opportuna utile a voi
     Sarà la madre mia. Però la brama
     690Del pugnar contenete, e nella nave
     State ancor per alquanto. Il raffrenarsi
     Val meglio assai, che abbandonatamente
     Avventarsi a mal fine. È nelle case
     D’Eeta una donzella, a cui la diva