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furore, e innalzò la boce, che diventò qui come fioco. E frate Qinepro di quelle parole poco curò e quasi nulla, perocchè delle ingiurie si dilettava, quando egli era bene avvilito; ma per compensazione della infiocagione del Generale, cominciò a cogitare del rimedio. E ricevuta la rincappellazione del Generale, va frate Ginepro alla cittade et ordina e fa fare una buona iscodella di farinata col butirro: e passato un buono pezzo di notte, va e ritorna, e accende una candela, e vassene con questa scodella di farinata alla cella del Generale, e picchia. Il il Generale aperse, e vede costui colla candela accesa e colla scodella in mano, e piano domanda: — Che è questo? — Rispuose frate Ginepro: — Padre mio, oggi quando voi mi riprendevi de’ miei difetti, io vidi che la boce vi diventò fioca, credo per troppa fatica; e però io cogitai il rimedio, e feci fare questa farinata; però ti priego che tu la mangi, ch’io ti dico, che ella ti allargherà il petto e la gola.— Dice il Generale: — Che ora è questa, che tu vai inquietando altrui? — Risponde frate Ginepro: — Vedi, per te è facta; io ti priego, rimossa ogni cagione, che tu la mangi, perocch’ella ti farà molto bene. — Et il Generale, turbato dell’ora tarda e della sua improntitudine, comandò ch’egli andasse via, che a cotale ora non volea mangiare, chiamandolo per nome vilissimo e cattivo. Vedendo frate Ginepro, che né prieghi né lusinghe non valsono, dice cosí: