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entrate dei sudditi; 9.° a riguardo dell’interposizione di Sua Santità, dell’Imperatore e del Re dei Romani, il doge rilascia all’arciduca quelle valli e pievi che in questa guerra furono sottomesse dai conti di Lodron stipendiati dalla Repubblica, le quali si dicono appartenenti al Principato di Trento, volendo che esse siano restituite al vescovo-principe, subito dopo l’effetto delle stipulate cauzioni; con patto che il forte di Storo sia tosto demolito, nè più altro possa in esse valli per l’avvenire essere fabbricato; 10.° che i castelli di Nomi e d’Ivano, coi luoghi occupati nella presente guerra dai Veneziani, siano dati in deposito al papa, alla cui decisione debbano acquietarsi ambe le parti; ricevendo intanto il vescovo di Treviso, legato apostolico, in nome del pontefice il giuramento di fedeltà dai custodi e sudditi di quelle giurisdizioni, che prima l’aveano prestato al Dominio Veneto; 11.° i conti d’Arco s’intendano inchiusi in questa pace e si ricevano in grazia dell’arciduca; 12.° lo stesso avvenga dei conti di Lodrone e di quelli di Gresta1. Terminato l’arduo ufficio, Udalrico si ricondusse alla Corte di Roma per sollecitare la sua conferma. Il doge di Venezia gli diede commendatizie pel Sacro Collegio, nelle quali esalta il di lui contegno nel trattato di pace. Altrettanto fece per lui l’arciduca; ma contuttociò, non gli riuscì di vedere appagati i suoi voti che l’anno seguente2. Malgrado la pace conchiusa, nel dicembre del medesimo anno, Francesco,

  1. Miscellanea Alberti, T. III, fol. 185. Τ. V, fol. 107.
  2. Miscell. Alberti, Τ. V, fol. 212.