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tore Federico III riprendeva per lettere il contegno del duca e lo tacciava di cupidigia e gli poneva sott’occhio la grande ingiustizia che commetteva, arrogandosi un territoriale dominio, che in niuna guisa gli apparteneva. Neppure a tali interposizioni e rimproveri si piegò l’animo ostinato del Conte del Tirolo, che continuò ad affliggere la Chiesa di Trento ed il suo vescovo a segno, che volendo questi intervenire alle Diete germaniche o recarsi alla corte ducale o all’imperiale, gli conveniva di volta in volta assicurare la sua persona mediante un salvocondotto1. Ai 27 di maggio 1478 il vescovo nostro ammise Giangiacomo di Tono, qual seniore di sua famiglia, alla investitura dei feudi ch’essa riconosce dalla Chiesa di Trento; fra i quali si annovera anche l’ufficio di pincerna ereditario del principe-vescovo2. Nel medesimo anno uscì la bolla, con cui il pontefice Sisto IV, dopo maturo esame dei processi originali costrutti in Trento contro gli ebrei, trasmessigli sotto sigillo del nuncio papale e del vescovo nostro, pronuncia di averli trovati conformi alle leggi, malgrado le frivole opposizioni della nazione giudea e dei suoi protettori, sostenuti dal commissario pontificio, monsignore di Ventimiglia, da essi corrotto; il quale non arrossì di carcerare un certo svizzero e l’Angelino, e di esaminare testimonii subornati per far cadere sovr’essi la colpa dell’infanticidio del beato Simone. E dopo aver commendata la diligenza del ve-

  1. Miscellanea Alberti, Τ. III, fol. 207.
  2. Miscell. Alberti, Τ. VI, fol. 192.