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per il Fossato, vicina alla loro abitazione, ottennero la diversione di detto rivo. Ma tutte le ricerche furono inutili. Alle ore nove di mattina tedesche pensò il disperato padre di recarne l’infausta notizia al vescovo Giovanni che, finiti i divini ufficii nella cattedrale, si restituiva al castello. Il prelato, altamente commosso, raccomandò l’istanza del desolato genitore al podestà ivi presente, il quale fece proclamare lo smarrimento del fanciulletto per la città, ordinando che chi ne avesse qualche contezza, dovesse tosto riferirla al pretore. Passati alcuni giorni, vedendo l’afflitto padre non aver punto giovato la suddetta grida, coll’ajuto di un amico, Cipriano da Bormio, replicò la perquisizione nel canale del rivo che scendeva a seconda nell’Adige, e inoltratisi l’uno di rincontro all’altro fino alla cantina di Samuele ebreo, si raggiunsero ivi, alla distanza di soli due passi, senza avere trovata alcuna traccia del cercato fanciullo. Non potendosi il padre dar pace, replicò l’istanza al pretore, affinchè facesse frugare nelle case degli ebrei, che si credeva da molti avere in quei giorni il costume d’insidiare alla vita dei fanciulli cristiani. La perquisizione venne dal Sala decretata e dai suoi ministri eseguita, ma senza effetto. La notte della domenica di Pasqua si parge per la città la notizia che alcuni ebrei avessero riferito al vescovo essersi trovato nel rivo che scorre sotto le loro abitazioni un cadavere di bambino. Nel volgo prese tosto origine ed estensione la voce che gli ebrei, dopo avere sacrificato il fanciullo cristiano, lo gettassero nel rivo, fermandolo con una pietra, come se per caso dalla corrente vi fosse portato. Il podestà e