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proposizioni fatte dal vescovo in questo stesso anno al Conte Mainardo, che ci dimostrano la durata della loro nimistà. La prima di queste si fu, che il Conte permettesse a esso vescovo il libero godimento delle sue rendite, e specialmente del dazio; l’altra, che le pievi di Volsana, Malè e Livo nella valle di Sole siano liberamente lasciate al Vescovato; l’ultima, che il Conte dimetta dalle prigioni i sudditi vescovili1. Nulla però ottenne il vescovo Enrico dall’usurpatore; chè anzi questi lo dispogliò dell’amministrazione del Principato di Trento; come ricavasi dagli atti commessi dal Conte nei pochi anni di vita rimasti al nostro prelato; abbenchè fosse stata conchiusa una tal qual pace, i di cui articoli non ci sono pervenuti. E difatti scorgiamo da certo istromento giudiciale a favore di Graziadeo di Campo intorno a una casa e ad un orto provenienti dall’eredità di Tommaso, figlio di Vezzanello de’ Rambaldi di Vezzano, che nel 1285 risiedeva nel palazzo vescovile di Trento un Giovanni di Cavedine col carattere di vicario, assessore e giudice di Mainardo conte del Tirolo2. Nel medesimo anno il sopradetto vicario, a preghiera di Vito di Mezzotedesco, investì Simeone di Boninsegna dell’ufficio di postiglione per tutto il Vescovato di Trento e pel territorio del Conte, esigendo da esso il giuramento di fedeltà nell’esercitarlo, la secretezza nelle imbasciate, la piena e sincera rivelazione di tutto ciò che apportar potesse qualche danno a Mai-

  1. Miscellanea Alberti, Τ. VI, fol. 167.
  2. Miscell. Alberti, Τ. VI, fol. 199.