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che i carcerati d’ambidue le parti fossero rimessi in libertà, nominando specialmente Enrico Lainano; che tutte le sicurtà non sodisfatte in occasione dei prigionieri fossero di niun valore, a riserva di 25 marche del Poldo, le quali vengano esatte, a motivo delle spese fatte dal fratello di Udalrico di Bolgiano, e a lui consegnate; che il Conte possa tenere Bolgiano per anni due, principiando dalla Natività del Signore; e, ciò non ostante, il vescovo Enrico possa esigerne i dazii e le altre sue rendite; e finalmente, che il vescovo sia obbligato di affidare la giurisdizione di Bolgiano ad Antonio Scenau, ministeriale del Conte, il quale faccia giustizia imparziale ai sudditi d’ambo i principi1.

Sulla fine di novembre di questo medesimo anno, il nostro vescovo congregò nella cattedrale di S. Vigilio un sinodo generale della sua diocesi, e dinanzi ad esso denunciò lamentevolmente in abito pontificale gli usurpatori dei beni della sua Chiesa, il primo fra i quali, dopo il Conte del Tirolo, si era Odorico Panceria d’Arco, che aveva occupato il borgo di Riva, quello di Arco, le pievi di Tenno, di Nago, di Bono, di Condino, di Tignale, coi castelli di Tenno e Romano. Narrò di averlo più volte paternamente invitato a restituire le terre usurpate, ma sempre indarno; e perciò decretava, col parere del Sinodo, contro il contumace un severo monitorio, da essergli intimato dagli arcipreti di Riva, di Arco, di Bleggio. Non avendo

  1. Miscellanea Alberti, T. VI, fol. 130-134.