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Nel 1269, i procuratori della città di Trento giurarono al vescovo di stare ai comandi suoi, riguardo alla scomunica incorsa dai cittadini sleali, promettendo di essergli per l’avvenire ubbidienti, sotto pena di tremila lire veronesi; della quale promessa fu mallevadore il Conte del Tirolo. Il vescovo nostro ne impartiva loro l’assoluzione, in quanto poteva, dopo aver fatto battere i detti procuratori ed altri cittadini col libro dei salmi, secondo il costume della Chiesa, da Gennaro, priore di S. Maria Coronata. Così la città tutta fu riammessa alla partecipazione dei Sacramenti1. In questo medesimo anno, il conte Mainardo costrinse il vescovo nostro a venir seco ad una transazione jugulatoria, i principali articoli della quale furono: che, detratto lo stipendio dei capitani e custodi della città di Trento e dei castelli del Vescovato, il rimanente delle rendite provenienti dai dazii, dagli affitti, dalla zecca e dalla cantina, vengano distribuiti per metà fra di loro; che lo stesso si faccia delle collette, dei giudici, e degli altri rami d’eccettuata sempre quella porzione che spetta al Conte, che debbe essergli mantenuta senza diffalco (divisione leonina!); che le spese di guerra siano fatte a comune contribuzione; che i proventi dalle appellazioni, dalle vendite, dalle tutele e curatele, siano riservati al vescovo. Dal canto suo, il Conte promette di giovare al vescovo (come se a ciò non fosse stato tenuto, in vigore dell’avvocazia e per l’investitura di numerosissimi feudi, che riconosceva

  1. Miscellanea Alberti, Τ. II, fol. 112.