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tati capitolari e ai quattro della città e ai sei dei nobili vassalli espose l’angustiato vescovo il motivo dell’adunanza, le premure e le minaccie del conte del Tirolo per la rinnovazione dell’investitura dal suo antecessore concessa ad Alberto, l’assedio della città e i pericoli che correva tutto lo stato. Di comune parere fu dato al vescovo l’assenso per la stipulazione dell’atto d’investitura; ma per renderlo, quanto sapevano, invalido ed insussistente, e trasmetterlo ai posteri siccome estorto per vim et metum cadentem in constantem virum, i convocati vi aggiunsero una formola di protesta, che cotesto assenso era dato per ovviare alla distruzione della città e agli altri mali minacciati ai renitenti e a tutta la diocesi. Ciò fatto, il nostro vescovo, nel giorno secondo di maggio, alla presenza del popolo accorso in piazza al suono della maggiore campana con cinque bandiere, in pubblico arringo, investì dell’avvocazia e dei feudi pretesi il conte Mainardo ivi presente, a nome di sua moglie Adelaide e di Alberto e Mainardo suoi figli e discendenti in perpetuo, dell’uno e dell’altro sesso, esigendo dal conte del Tirolo, in suo proprie nome e dei coinvestiti, il giuramento d’omaggio e di fedeltà sui santi evangelii1.

Già il primo di marzo di quest’anno 1256, il nostro prelato, sempre mai provvido e sollecito dei diritti vescovili, volle ridotte in pubblica forma le prerogative che gode la Chiesa di Trento nel monastero di Gi-

  1. Codice Wanghiano, pag. 386. Miscellanea Alberti, Τ. I, fol. 125. Τ. II, fol. 104.