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267 ANNALI D'ITALIA, ANNO LXIX. 268

anzi odiati dai Romani. Intanto era diviso il romano imperio fra questi due competitori. Ottone si trovava riconosciuto imperadore in Roma e da tutta l’Italia. Cartagine con tutta l’Africa era per lui. Muciano, governator della Siria, o sia della Soria, gli fece prestar giuramento dai popoli di quelle contrade1. Altrettanto fece Vespasiano nella Palestina. Aveva egli inviato già Tito suo figliuolo, per attestare il suo ossequio a Galba; ma dacchè, arrivato a Corinto, intese la di lui morte, se ne tornò indietro a trovar il padre. Anche le legioni della Dalmazia, Pannonia e Mesia aderirono ad Ottone. Così l’Egitto e le altre città dell’Oriente e della Grecia. Ancorchè Ottone fosse un usurpatore, il nome nondimeno di Roma e del senato romano, che l’avea accettato, bastò perchè tanti altri paesi s’uniformassero al capo dell’imperio.

Ma in mano di Vitellio erano le migliori e più accreditate milizie de’ Romani, raccolte dall’alta e bassa Germania, dalla Bretagna e da una parte della Gallia2. Ne formò egli due eserciti, l’uno di quarantamila combattenti sotto il comando di Fabio Valente, l’altro di trentamila, comandato da Alieno Cecina, a’ quali si unirono varii rinforzi di Tedeschi. Ardevano tutti costoro di voglia, non ostante il verno, di far dei fatti, per aver occasione di bottinare (fine primario di chi esercita quel mestiere), mentre il grasso e pigro Vitellio attendeva a darsi bel tempo, con far buona tavola, ubbriaco per lo più. Anche vivente Galba si mossero tante forze sotto i due generali per due diverse vie alla volta d’Italia; cioè Valente per le Gallie, e Cecina per l’Elvezia. Vitellio facea conto di seguitarli dipoi. Nel viaggio ebbero nuova della morte di Galba e dell’innalzamento di Ottone. Dovunque passò Valente per la Gallia, il terrore delle sue armi condusse i popoli all’ubbidienza [p. 268]di Vitellio. Sopra tutto con allegria fu ricevuto in Lione. In altri luoghi non mancarono saccheggi ed anche stragi. Non fece di meno Cecina nel passare pel paese degli Svizzeri. All’avviso di queste armate, che si avvicinavano all’Italia, un reggimento di cavalleria, accampato sul Po, che avea servito una volta in Africa sotto Vitellio, l’acclamò imperadore, e cagion fu che Milano, Ivrea, Novara e Vercelli prendessero il suo partito. Perciò si affrettò Cecina verso la metà di marzo per calare in Italia, ancorchè i monti fossero tuttavia carichi di neve, e spedì innanzi un corpo di gente, per sostenere le suddette città. Gran dire, gran costernazione fu in Roma, allorchè si udì la mossa di tante armi, e l’inevitabil guerra civile3. Mosse Ottone il senato a scrivere a Vitellio delle lettere amorevoli, per esortarlo a desistere dalla ribellione, offrendogli danaro, comodi e una città. Ne scrisse anch’egli, e dicono4 che gli esibisse segretamente di prenderlo per collega nell’imperio e per genero. Gli rispose Vitellio in termini amichevoli; tali nondimeno che mostravano di burlarsi di lui. Irritato Ottone gli rispose per le rime, cioè gliene scrisse dell’altre piene di vituperii, e con ridicole sparate, ricordandogli soprattutto l’infame sua vita passata. Non furono meno obbrobriose le risposte di Vitellio. Nè alcun di loro diceva bugia. Amendue ancora inviarono degli assassini, per liberarsi cadauno dall’emulo suo; ma riuscì in fumo il loro disegno. Adunque chiaro si vide, non restar altro che di decidere la contesa coll’armi. Unì Ottone una possente armata anch’egli, composta della maggior parte de’ pretoriani e delle legioni venute dalla Dalmazia e Pannonia. E lasciato al governo di Roma Tiziano suo fratello con Flavio Svetonio prefetto d’essa città, e fratello di Vespasiano,

  1. Tacitus, Hist., lib. I, cap. I.
  2. Idem, ibid., cap. 61 et seq.
  3. Plutarchus, in Othone.
  4. Suetonius, in Othone, cap. 8. Dio., lib. 64. Tacitus, Histor., lib. I, cap. 74.