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185 ANNALI D'ITALIA, ANNO L. 186


Anno di Cristo LII. Indizione I.
Pietro Apostolo papa 24.
Tiberio Claudio, figlio di Druso, imperadore 12.


Consoli


Publio Cornelio Sulla Fausto e Lucio Salvio Ottone Tiziano

.


Avendo Ottone (poscia imperadore) un fratello per nome Lucio Tiziano, vien perciò tenuto questo console pel medesimo di lui fratello. Credono alcuni, che a questi consoli nelle calende di luglio succedessero Servilio Barca Serano, chiamato console designato da Tacito sotto quest’anno, e Marco Licinio Crasso Muciano; e che, cessando essi, nelle calende di novembre subentrassero in quella dignità Lucio Cornelio Sulla e Tito Flavio Sabino Vespasiano. Questo per congettura. E quando essi vogliano che Flavio Sabino fosse il fratello di Vespasiano (poscia imperadore) s’ha d’avvertire che Tacito e Svetonio ci danno ben a conoscere Sabino per prefetto di Roma, ma non già illustre per alcun consolato1. Fu in quest’anno esiliato da Roma Furio Scriboniano, figliuolo di quel Camillo che si sollevò in Dalmazia contro di Claudio Augusto. Per atto di clemenza non avea Claudio nociuto al figlio; ma accusato egli ora di aver consultati gli strologi intorno alla vita dell’imperadore, per questo delitto si guadagnò il bando. Molto non campò di poi, rapito dir non si sa se da morte naturale o pur da veleno. Diede ciò occasione ad un rigoroso editto del senato contro gli strologi, con ordine di cacciarli d’Italia, non che da Roma. Tutto nondimeno indarno: per una porta uscivano, ritornavano per un’altra. Parimente fu pubblicata legge contra le donne libere, che sposassero schiavi. Se ciò facea la donna senza il consenso del padrone dello schiavo, diveniva anch’essa schiava; se col consenso, era [p. 186]poi trattata come liberta. Videsi nell’anno presente, fin dove arrivasse la prepotenza dei liberti di corte, la melonaggine di Claudio e la viltà del senato. Perchè fu attribuito a Pallante, liberto il più favorito dall’imperadore, l’invenzione di questo ripiego, per frenar le donne, il senato a suggestion di Claudio, o pure, come vuol Plinio il vecchio, di Agrippina Augusta, il senato, dico, oltre a molte lodi del suo fedele attaccamento al principe, e delle sue grandi applicazioni pel ben pubblico, il pregò di accettare gli ornamenti della pretura, e la facoltà di portare l’anello d’oro, come faceano i cavalieri, e per giunta un regalo di trecento settantacinquemila scudi romani. Costui accettò gli onori, ma sdegnò di prendere il danaro, con vantarsene dipoi in un’iscrizione, e con dire ch’egli si contentava di vivere nell’antica sua povertà, quando di schiavo ch’egli fu, era giunto a posseder più milioni, ed è registrato dal vecchio Plinio fra gli uomini più ricchi del suo tempo. Plinio il giovane2 da lì a molti anni, in leggendo quell’iscrizione e il vergognoso decreto fatto dal senato per costui, non se ne potea dar pace. Callisto e Narciso erano gli altri due liberti dominanti allora nella corte. Per le mani di Agrippina e di costoro passava tutto e di tutto si facea danaro. Si prendeano anche beffe del balordo loro padrone3. Un dì mentre Claudio tenea ragione, comparvero alcuni della Bitinia ad accusar con molte grida Giunio Cilone, stato lor governatore, che avea venduta la giustizia per danari; nè intendendo ben Claudio, dimandò che volessero quegli uomini. Rispose Narciso: Rendono grazie per aver avuto Cilone al lor governo. Allora Claudio: Ebbene, l’abbiano per lor governatore anche due altri anni.

Alcuni tempi prima era venuta in mente a Claudio un’impresa che, se gli riusciva, sarebbe stata di gran gloria a

  1. Tacitus, Annal., cap. 52.
  2. Plinius, lib. 7, epistola 29.
  3. Dio., lib. 60.