Pagina:Annalena Bilsini, di Grazia Deledda, Milano, 1927.djvu/256


— 246 —


Un lieve chiarore che d’un tratto scivolò su dall’ingresso ai primi scalini in fondo, la rassicurò. Lo zio Dionisio s’avviava a letto. La figura di lui, tutta dorata dal lume ch’egli teneva in mano assieme col bastone, apparve giù, accompagnata dalla grande ombra sulla parete, come quella di un eremita in fondo ad una grotta.

Con meraviglia Annalena, che gli andò incontro per aiutarlo, vide che egli saliva da solo, lentamente, sì, gradino per gradino, ma senza bisogno di sostegno. Gli occhi di lui, però, erano strani, e la fissavano senza riconoscerla.

Ad un cenno interrogativo di lei, parve svegliarsi di soprassalto, come un sonnambulo: si ricordò, si fermò: accennò col lume alla camera dove dormiva Giovanni, poi si mise lo stelo del candeliere attraverso la bocca, in modo che la fiammella del lume gli arse sopra la fronte.

Tacere. Non era il momento, quello, di parlare. La notte, poi, porta consiglio, e l’alba dissipa le ombre.

Annalena tornò nella sua camera quasi riconfortata; sicura, ad ogni modo, che la saggezza del vecchio avrebbe aggiustato le cose: ed egli, dopo tenaci sforzi per non svegliare Giovanni, riuscì a mettersi a letto.