Pagina:Annalena Bilsini, di Grazia Deledda, Milano, 1927.djvu/21


— 11 —

grandi, sono andati sempre d’accordo: così ho loro insegnato e così dev’essere. L’unione fa la forza.

— Ma bene! — egli esclamò: e pareva canzonasse la donna.


Quando arrivarono alla nuova dimora l’ultimo chiarore del tramonto illuminava il muro di cinta dell’aia, e i due alti platani uno per parte del grande portone d’ingresso, attraverso il quale si intravedeva la casa antica, coi muri scrostati e le persiane cadenti, ed a fianco una torretta presuntuosa, color cioccolata, dove la nuora Bilsini aveva già installato i piccioni.

Il luogo era quieto, forse anche melanconico, all’angolo fra due strade solitarie completamente ricoperte d’erba e fiancheggiate da siepi e fossi. Il chiarore del crepuscolo, infiltrandosi fra i tronchi dei platani, rivelava accanto al portone una nicchia nel muro e dentro dipintavi una Madonnina tutta gialla rossa e azzurra con in braccio un bambino che pareva una bambola.

Annalena notò che il lumicino della nicchia era spento; e quel bicchiere senz’olio,