Pagina:Annalena Bilsini, di Grazia Deledda, Milano, 1927.djvu/207


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— Come va? E Lia? Che fa, la piccola? Perchè non l’avete portata?

— Lia è tornata a casa, dalla casa dei nonni. Ha lavorato anche lei: poi è andata in chiesa. Prega. Che può fare altro, se non pregare?

— Ha sempre intenzione di farsi suora?

— Monaca, non suora, vuol farsi: monaca di clausura. Così avrò due prigioniere, eh, eh.

Rideva, l’uomo, con una maschera diabolica sul viso; ed anche Gina ebbe l’impressione che il cervello di lui se l’avessero rosicchiato i dispiaceri.

— Coraggio, — disse, alzando la voce, poichè tornava Annalena. — Tutti abbiamo le nostre pene, e Baldo afferma che il Signore visita i suoi prediletti con le disgrazie.

Ecco che predicava anche lei: nel sentire il suono delle sue parole le veniva da ridere, sebbene d’un cattivo riso.

— Brutte visite, quelle; lasciamole lì. Bevi, Urbano, su, su, che scappa, — incalzò Annalena, mettendo in mano all’uomo il bicchiere gonfio di spuma. — È l’ultima bottiglia, questa, e l’ho serbata proprio pensando a te.

Allora egli si alzò, solenne.