Pagina:Annalena Bilsini, di Grazia Deledda, Milano, 1927.djvu/141


— 131 —

i suoi denti piccoli e lucidi come quelli dei bambini; poi si rifece serio. E ad Annalena, che adesso lo guardava ripresa dalla sua coscienza tranquilla, il viso di lui ricordava il fiume, nei giorni incerti di autunno, quando le nuvole si aprono e si chiudono in cielo e dentro l’acqua.

A sua volta gli domandò:

— Quanti anni hai, Urbano?

Egli sollevò la mano destra, col pollice piegato sulla palma e le altre dita aperte. Quarant’anni egli aveva; tre meno di lei, ma ne dimostrava a volte di più, a volte di meno, a seconda dell’espressione del viso.

— Sì, Annalena, quaranta per San Michele. Anch’io cambio di casa, quel giorno, da un anno passo all’altro, e sempre in peggio.

— Perchè in peggio?

— Perchè la casa della vecchiaia è brutta.

— L’uomo è sempre giovane. Persino lo zio Dionisio, col bastone per moglie, lo afferma.

— Meglio un bastone, per moglie, che certe donne. Certe donne, cara Annalena, fanno invecchiare anche i ragazzi di venti anni. La mia, per esempio....

— Urbano! — esclamò lei, quasi per richiamarlo a sè stesso e impedirgli di pro-