Pagina:Annalena Bilsini, di Grazia Deledda, Milano, 1927.djvu/130


— 120 —

do che vi segnava su il nome delle persone alle quali erano destinate, arrivò, insolitamente, Urbano Giannini, il padrone del podere.

Egli non si lasciava mai vedere, poichè i Bilsini gli portavano puntualmente a casa il fitto ed i tributi: quindi Annalena si allarmò subito e gli andò incontro con le dita tinte ancora di rosso e di verde.

Del resto egli era un uomo da imporre soggezione con la sua sola presenza: alto e robusto, aveva la persona dritta come una colonna, ed un nobile viso severo d’imperatore romano. I capelli rasi si tingevano d’argento, ma la pelle bruna era fresca e i denti intatti e lucenti fra le labbra pulite. Anche i grandi occhi scuri, sotto l’arco sporgente delle sopracciglia aggrottate, inspiravano un senso di rispetto, poichè la pupilla limpidissima fissava dritto la pupilla di chi lo guardava.

Annalena conosceva già quello sguardo e lo affrontò intrepida: anzi, mentre l’uomo le stringeva forte la mano e la salutava con la sua voce sonora, sentì che non c’era che da rallegrarsi per la visita di lui. Gli offrì quindi la sedia migliore, accanto al fuoco.

— Siedi. Come vanno, tua moglie e tua figlia?