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260 la lontananza

dalla sua casa e dal suo dovere lo riattirava irresistibilmente.



Eppure, per molti e molti giorni, quel secondo io, che sdoppiava Sebastiano, lottò accanitamente contro la nostalgia, contro la passione, contro le disperazioni e le smanie prepotenti del ritorno. L’idea di passar per ridicolo, per matto; il puntiglio, il pensiero di dover abbandonare il suo sogno appena raggiunto, e di sentirsi dire da suo padre: — come? ti sei spaventato? — lo legavano, lo rattenevano.

Sopratutto l’ultimo dubbio.

Durante il giorno, in quelle corte giornate cupe, piene di vento, di freddo, di fango, ma animate dall’opera assidua dei carbonai e dei carradori che circondavano Sebastiano come tante figure nere di un triste sogno, egli tentennava così, tra i puntigli e la passione; ma arrivata la sera, con la pesante malinconia dei crepuscoli nuvolosi d’inverno, col gran silenzio di quella immensa solitudine desolata,