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258 la lontananza


C’erano due finestre; una piccola e recente, di legno non ancor verniciato, senza vetri; si apriva solo nelle buone giornate o per cambiar aria. L’altra era il finestrone semi-ovale della chiesa, in alto, sotto il cornicione, ristorato e munito di vetri. La luce così pioveva dall’alto, e in quell’ora penetrava un raggio triste di luna al tramonto, descrivendo una curva di albore giallastro intorno al finestrone, ove non arrivava la scarsa illuminazione della lampada di Sebastiano.

Soprafatto dalla tristezza, il giovine gettò il guanciale sul letto, dopo aver rimesso qua e là la sua roba, e si coricò, aspettando il ritorno dell’intendente.

E si mise a leggere i giornali, ma per quanti sforzi facesse, non potè interessarsi alla lettura di fatti che non lo riguardavano.

Sentiva quell’acuto e intenso egoismo, derivante da una gran gioia o da una gran sofferenza, per cui ci pare che tutto il mondo si compendi in noi, solo in noi, dentro di noi, nei casi e nelle cose che originano la tensione del nostro cervello, dei nostri nervi.