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di sant’uomo; che passa solo solo, a passi brevi e stanchi, meditando sulle sue battaglie e sulle sue sventure.



La mattina, peraltro, c’è quasi sempre vita nel piano. Nella piazza d’armi galoppano rumorosamente, lampeggiando, dei drappelli di lancieri, comandati dagli ufficiali della Scuola; ci son non so dove (vicino al camposanto, mi pare) i trombettieri del distretto che s’esercitano a straziare gli orecchi e le anime; e dal cortile d’una caserma, in cui vedo dentro, vengon su sonore e distinte le voci dei soldati che rispondono all’appello su cento tuoni, come una tastiera di cembalo picchiata a caso da un bimbo. Intanto vien giù per la strada di Fenestrelle un gran tintinnio di sonagli, un armento dietro l’altro, dei torrenti enormi di lana, che traboccano nei fossi, e par che minaccin d’allagare la campagna; scendon file di carri carichi di lastre del Malanaggio; sull’aie vicine si batte il grano coi correggiati; arriva il tranvai di Perosa, sbuffando; il Lemina brontola, e qua e là in mezzo ai campi fumano, come tede gigantesche, gli altissimi camini rossi delle officine. Qualche volta, in quell’ora, passa là sotto fra gli alberi, per la strada bassa del cimitero, un feretro, seguito da molta gente con le candele accese; e allora fa un contrasto stranamente drammatico quel mormorio lamentevole di preghiere, che vuol dire: — Tutto è finito, — con quei