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emanuele filiberto a pinerolo 145

che si contraevano e fremevano come due mani. Ogni suo movimento, ogni suono della sua voce gli faceva balzar dal cuore una piena di parole appassionate, umidi, dolci, imperiose, che l’avrebbe soffocato s’egli l’avesse lasciata arrivare alle labbra. La guardava, l’inseguiva, e la vedeva confusamente a una grandissima lontananza, in una sala splendida di marmi e di specchi della sua casa di Gerona, serrata contro il suo petto, e avviticchiata al suo collo; e poi seduta accanto a lui, altiera e felice, in un ricco legno, tirato da cavalli superbi, giù per la Rambla di Barcellona; e poi abbandonata sulle sue ginocchia sotto la tenda vermiglia d’una barca dorata lungo le sponde dell’Ebro, pallida e stanca d’amore. E l’amava, la voleva, le avrebbe inchiodato la bocca sul cuore per suggere e trasfondere nella propria la sua anima bella. Non sapeva più comprendere come avesse potuto non curarla per tanto tempo, come avesse lasciato crescere, fomentato in lei quell’entusiasmo ardente per il Duca, invece di mettersi in mezzo subito, di separarla dal suo idolo, di farsi amare, di dirle brutalmente che voleva esser amato. Ed ora una smania lo invadeva di riguadagnare precipitosamente il tempo perduto, di conquistarla prima dell’arrivo del principe, di cacciarle dall’anima il suo rivale con una parola fulminea, tirandola in un canto, e bruciandole il viso con un bacio. Ah forse era troppo tardi!


De Amicis. Alle Porte d'Italia. 10