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è giá detto, dai competenti: tra i quali un posto di prima linea deve esser lasciato ai glottologi e ai filologi, tanto piú che son essi i primi a porre la questione del gusto di fronte a quella della scienza, perché s’impone.

Non osta il contrasto assai vivace fra di loro: bisogna valutare ciò che n’emerge. E qui mi concedo di indugiarmi un poco, perché la cosa è importante. Un glottologo, S. Pieri, in una assai importante bibliografia dell’ediz. Vandelli, ha ripercorso molte delle forme che non gli paiono da attribuire al Poeta, o poco fondate1. Muove dunque da una preoccupazione scientifica; la quale però non gli vieta di unirci quella del gusto, che inasprisce nelle sue pagine il disagio, tanto da parlarvisi di ripugnanza, profanazione e diminuzione di bellezza. Ma un altro glottologo, A. Schiaffini, replica: «È profanatore della solenne e severa maestá e compostezza di espressione propria della poesia chi si mostra proclive a toglierle il colorito arcaico, e non giá chi, con ricerche accurate, mira a restituirlo, dando prova del piú religioso rispetto per la volontá del Poeta»2.

Un filologo e letterato di gran nome, Vittorio Rossi, è favorevole al ritorno delle forme arcaiche: «Savio partito, nel quale tutti ormai consentono, e primi gli artisti; almeno quelli cui non garba strappare l’applauso alla platea... Perché insomma a Dante sta bene il lucco dei sanza, dei rispuose, degli etterno, e non la giubba dei senza, dei rispose, degli eterno, e l’esercizio dell’arte avvezza appunto ad intendere che qualche non disprezzabile sfumatura di individualitá spirituale è anche in certe minuzie... di grafia»3.

Ristabilisce l’equilibrio, turbato da cosí autorevoli parole e di sí larga malleveria, N. Zingarelli nel suo Dante, dove tutti gli aspetti culturali del gran tema sono ripercorsi e in conseguenza anche quello dell’edizione. «Certamente, quanto alla grafia, la D. C. è stata sempre piú ammodernata dopo l’edizione aldina; ma mi par

  1. In Archivum romanicum, XI, 259-266, a. 1927.
  2. In Studi danteschi, XIII, 31-45, a. 1928. Note sul colorito dialettale della D. C. — Parole non meno decise e severe scrive il Vandelli nella prefaz. all’ediz. del ’27 (Le Monnier), p. xxi: «Ogni ammodernamento è alterazione del testo genuino, e alterazioni di questo genere, anche se cosa lieve per sé, sono un’offesa al riguardo che l’opera del Poeta si merita e a cui tutti ci sentiamo tenuti».
  3. Studi danteschi, XIII, p. 109.