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nota 477

nacce» in Inf., XVII, 89; «cui non si convenia piú dolci salmi», ib., XXXI, 69 ecc. Rimango in dubbio in Inf., XII, 49 «o cieca cupidigia e ira folle», dove tanto autorevolmente è attestato «... e ria e folle», che il senso non accoglierebbe meno, e il modo corrisponderebbe a «esta selva selvaggia e aspra e forte», Inf., I, 5, «oscura e profonda era e nebulosa», ib., IV, 10: ma nel dubbio, che non riesco a superare, rifuggo dalle innovazioni. Se invece ho resistito, come altri, ad alcune innovazioni del Vandelli, e posto pure che la resistenza non sia in tutto giusta, potrá anch’essa riuscire a bene, se affretta il mezzo della persuasione, ch’è l’edizione documentata. Questa degli Scrittori d’Italia, dove Dante non poteva mancare, non ha ambizione di concorrenza, e manterrá quella di adeguarsi agli ultimi risultati degli studi, direttamente rimeditati.

Però i miei propositi conservativi non hanno impedito che la presente edizione si ponga in contrasto con quella della Societá dantesca nella sua novitá piú nuova, ch’è il colorito ortografico e linguistico. Per quattro secoli e piú abbiamo letto Dante in una veste certamente non tutta sua, ma umanistica, che col processo del tempo s’era andata anche piú ammodernando; e nessuno aveva provato gran bisogno di mutare, neanche il Witte e il Moore. Una tradizione tanto forte da parere incrollabile. Senonché la linguistica e la tecnica delle edizioni critiche han fatto ormai tanto progresso, ch’era ben giustificato mettersi di fronte a quella potente tradizione. Un diritto e un dovere del progresso scientifico.

Ma riconosciuto questo, soggiungo subito che bisognava o bisogna distinguere tra scientificitá e praticitá: e porre due problemi invece di uno, se l’effetto, che sta nella approvazione dei lettori, dimostra che non si può o non è utile ridurli ad uno solo.

Intanto il primo problema, quello strettamente scientifico, non è risolvibile, come tutti sono ormai persuasi: e le pagine precedenti devono aver servito a una sommaria informazione anche di questo stato di fatto. Non riusciremo mai piú a sapere come Dante lasciasse scritto, perché il manoscritto è perduto; perché non sappiamo come fossero eseguiti gli apografi; perché mancano anche questi. Ne viene che il problema scientifico si sposta da quello della ricostruzione a quello della approssimazione. E questo