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402 la divina commedia

     Fecesi voce quivi, e quindi uscissi
per lo suo becco in forma di parole,
30quali aspettava il core, ov’io le scrissi.
     «La parte in me che vede, e pate il sole
ne l’aguglie mortali,» incominciommi
33«or fisamente riguardar si vuole,
     perché de’ fuochi ond’io figura fommi,
quelli onde l’occhio in testa mi scintilla,
36e’ di tutti lor gradi son li sommi.
     Colui che luce in mezzo per pupilla,
fu il cantor de lo Spirito Santo,
39che l’arca traslatò di villa in villa:
     ora conosce il merto del suo canto,
in quanto effetto fu del suo consiglio,
42per lo remunerar ch’è altrettanto.
     Dei cinque che mi fan cerchio per ciglio,
colui che piú al becco mi s’accosta,
45la vedovella consolò del figlio:
     ora conosce quanto caro costa
non seguir Cristo, per l’esperienza
48di questa dolce vita e de l’opposta.
     E quel che segue in la circunferenza
di che ragiono, per l’arco superno,
51morte indugiò per vera penitenza:
     ora conosce che ’l giudicio eterno
non si trasmuta, quando degno preco
54fa crastino lá giú de l’odierno.
     L’altro che segue, con le leggi e meco,
sotto buona intenzion che fe’ mal frutto,
57per cedere al pastor si fece greco:
     ora conosce come il mal, dedutto
dal suo bene operar, non li è nocivo,
60avvegna che sia ’l mondo indi distrutto.
     E quel che vedi ne l’arco declivo,
Guiglielmo fu, cui quella terra plora
63che piagne Carlo e Federigo vivo: