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paradiso - canto xv 379

     ma perché ’l sacro amore in che io veglio
con perpetua vista e che m’asseta
66di dolce disiar, s’adempia meglio,
     la voce tua sicura, balda e lieta
suoni la volontá, suoni ’l disio,
69a che la mia risposta è giá decreta!»
     Io mi volsi a Beatrice; e quella udío
pria ch’io parlassi, e arrisemi un cenno
72che fece crescer l’ali al voler mio.
     Poi cominciai cosí: «L’affetto e ’l senno,
come la prima equalitá v’apparse,
75d’un peso per ciascun di voi si fenno;
     però che ’l sol che v’allumò e arse
col caldo e con la luce, è sí iguali,
78che tutte simiglianze sono scarse.
     Ma voglia ed argomento ne’ mortali,
per la cagion ch’a voi è manifesta,
81diversamente son pennuti in ali:
     ond’io, che son mortal, mi sento in questa
disagguaglianza, e però non ringrazio
84se non col core a la paterna festa.
     Ben supplico io a te, vivo topazio
che questa gioia preziosa ingemmi,
87perché mi facci del tuo nome sazio».
     «O fronda mia in che io compiacemmi
pur aspettando, io fui la tua radice»:
90cotal principio, rispondendo, femmi.
     Poscia mi disse: «Quel da cui si dice
tua cognazione, e che cent’anni e piúe
93girato ha il monte in la prima cornice,
     mio figlio fu e tuo bisavol fue;
ben si convien che la lunga fatica
96tu li raccorci con l’opere tue.
     Fiorenza dentro da la cerchia antica,
ond’ella toglie ancora e terza e nona,
99sostava in pace, sobria e pudica.