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purgatorio - canto xvi 225

     per che la gente, che sua guida vede
pur a quel ben fedire ond’ella è ghiotta,
102di quel si pasce, e piú oltre non chiede.
     Ben puoi veder che la mala condotta
è la cagion che ’l mondo ha fatto reo,
105e non natura che ’n voi sia corrotta.
     Soleva Roma, che ’l buon mondo feo,
due soli aver, che l’una e l’altra strada
108facean vedere, e del mondo e di Deo.
     L’un l’altro ha spento; ed è giunta la spada
col pasturale, e l’un con l’altro insieme
111per viva forza mal convien che vada;
     però che, giunti, l’un l’altro non teme:
se non mi credi, pon mente a la spiga,
114ch’ogn’erba si conosce per lo seme.
     In sul paese ch’Adice e Po riga,
solea valore e cortesia trovarsi,
117prima che Federigo avesse briga:
     or può sicuramente indi passarsi
per qualunque lasciasse, per vergogna,
120di ragionar coi buoni o d’appressarsi.
     Ben v’èn tre vecchi ancora in cui rampogna
l’antica etá la nova, e par lor tardo
123che Dio a miglior vita li ripogna:
     Currado da Palazzo e ’l buon Gherardo
e Guido da Castel, che mei si noma,
126francescamente, il semplice Lombardo.
     Di’ oggimai che la chiesa di Roma,
per confondere in sé due reggimenti,
129cade nel fango e sé brutta e la soma».
     «O Marco mio,» diss’io «bene argomenti;
e or discerno perché dal retaggio
132li figli di Levi furono esenti.
     Ma qual Gherardo è quel che tu per saggio
di’ ch’è rimaso de la gente spenta,
135in rimprovero del secol selvaggio?»