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248 dalle «satire»


Due capitoli soli scriverò:
9 Eccomi entrato già nell’ippodròmo.1
Del quarto lustro a mezzo appena io sto,
Ch’orfano, agiato, ineducato, e audace,
12 Mi reco a noja omai la Dora e il Po.2
Calda vaghezza,3 che non dà mai pace,
Mi spinge in volta: e in Genova da prima
15 I passi avidi miei portar mi face.4
Ma il Banco, e il Cambio, sordidezza opíma,
E vigliacca ferocia, e amaro gergo
18 Sovra ogni gergo che l’Italia opprima,
E ignoranza, e mill’altre ch’io non vergo
Note anco ai ciechi Liguresche doti,
21 Tosto a un tal Giano mi fan dare il tergo.5
E, bench’un Re6 non mi piacesse, io voti
Non fea pur mai per barattarmi un Re


  1. 9. L’ippodromo è, veramente, il luogo ove corrono i cavalli; qui l’A. vuol dire: eccomi pronto a incominciare la narrazione, e l’immagine ricorda quella di Dante (Par., I, 16 seg.):
    In sino a qui l’nn giogo di Parnaso
    Assai mi fu, ma or con ambedue
    M’è nopo entrar nell’aringo rimaso.
  2. 10-12. Un piccolo viaggio sino a Genova l’A. l’aveva fatto nel 1765 col suo curatore e, come dicemmo, di quella magnifica città aveva riportata una indimenticabile impressione (Aut., II, 10°). Il secondo viaggio ebbe principio la mattina del dí 4 ottobre 1766. — Orfano; l’A. aveva perduto il padre, quando contava appena un anno, la madre non aveva tardato a passare a nuove nozze, ed egli era stato, nel 1758, posto nell’Accademia di Torino, ove era rimasto sino al maggio del 1766. — Ineducato; nell’Aut.: «Epoca seconda, adolescenza; abbraccia otto anni d’ineducazione». — La Dora e il Po; Torino.
  3. 13. Vaghezza, desiderio di novità.
  4. 15. Mi face, mi fa.
  5. 16-21. Nella Piazza de’ Banchi è una vasta loggia costruita anticamente per i negozianti, e che serve di passeggio o di luogo di ritrovo: col. Cambio il nostro P. deve alludere alla Banca di San Giorgio, altro centro commerciale di Genova. — Sordidezza opima, antitesi, con cui l’A. vuol contemporaneamente mettere in rilievo l’avidità e il fasto dei Genovesi, antitesi continuata nelle parole che seguono, vigliacca ferocia: si vegga intorno all’opinione che l’A. ebbe de’ Genovesi, il son. Nobil città, che delle Liguri onde; senonché è da osservare che, forse, l’A. fu indotto a giudicare tanto sinistramente una popolazione, che pur si solleva sopra tutte le altre d’Italia per alcune particolari virtú, da quell’irragionevole antipatia che separò, per tanti secoli, i Piemontesi dai Liguri: molto piú serenamente un altro Piemontese, il Baretti, scriveva (Gli Italiani, Milano, Pirotta, MDCCCXVIII, 147): «Per me, invece di persistere nella mia prima e ridicola antipatia pe’ Genovesi, ho sovente detto che se fosse in mio potere di radunare tutti i miei amici in un luogo, preferirei di vivere in Genova piuttosto che in alcun’altra città, perché il governo vi è benigno, il clima temperato, le case pulite e comode, e tutta la campagna non offre che punti di vista amenissimi e vaghi paesaggi». — Gergo, dialetto. — Non vergo, non scrivo. — Giano, in doppio significato: e perciò che l’A. ha detto riguardo alla sordidezza opima e alla vigliacca ferocia, che fanno quasi avere alla città un duplice aspetto, e perché erroneamente si credette da molti che il nome di Genova derivasse da quello di Giano, principe di Troia, suo ipotetico fondatore, mentre Genova con Ianus non ha nulla a che fare, essendosi, anche nei tempi piú antichi, chiamata Genua, non Ianua.
  6. 22. Un Re, il re del Piemonte.