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atto secondo 19
* giá la costanza, e la virtú primiera.

Anton. Cleopatra, e chi mai ti diè tal possa
di deludermi ognor? amo perfino
* gl’inganni tuoi, e quei fallaci accenti
han dall’orecchio al cor la via trovata.
* Ti bramerei fedele, e pur spergiura
* tremo di ravvisarti: e qual sarai?
* Dubbj orror, cruda morte, il vel squarciate,
* il vel, che tuttavia m’ingombra il vero.
Cleop. Ah! caro Antonio, ah! per pietá mi credi;
* non si finge tal duolo, o mal si finge.
Placati, ascolta, indi ritorna all’ira,
condannami innocente, e rea m’assolvi;
fa’ quanto vuoi; piú mormorar non m’odi.
Anton. Vuoi, che t’ascolti, e poi, ch’io torni all’ira?
* Ah! ben lo sai, che se tu parli hai vinto.
* Se condannar ti vuo’, non deggio udirti...
E pure udir vorrei... o laccio indegno,
che l’alma mia mal grado anco incateni,
spezzarti adunque io non saprò giammai?
Cleop. Se all’apparenza sola oggi dai fede,
o all’empio stuol di lusinghieri amici,
ovvero ai tristo, e non pensato evento,
che segui il mio fuggir, la rea son io;
scampo non ho; sol tua pietade imploro.
Ma se dai luogo al ver, giustizia attendo,
e nulla temo. Apparecchiato all’armi,
* e alla vittoria, Antonio, io ti lasciai.
Nol niego, è ver; ma per salvarti, e il regno,
e la tua amante, osai scioglier le vele,
* e fu virtú la temeraria fuga.
Seppi in quel dí, ove a pugnar s’accinse
* Roma con Roma, che l’Egitto infido,
a noi ribelle, il vacillante giogo
scuoter voleva, e pien d’armata gente
giá s’apprestava a dare in sen ricetto