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SCHIARIMENTO DEL TRADUTTORE

SU QUESTA

ALCESTE SECONDA.

Nell’anno 1794, ritrovandomi io traduttore in Firenze, comprai su un muricciuolo un fastellone di libri sudici, fra’ quali v’erano pur anche alcuni classici di non cattive edizioni. Dissemi il Muricciolajo, essere stati tutti que’ libri appartenenza d’un certo Prete, morto decrepito e povero, del quale o non mi disse il nome, o mi passò di mente. Portatili a casa, facendone la rivista, ritrovai in un fascetto d’alcune operucce legate insieme, un manoscritto piuttosto bello e bastantemente pulito, che mi avvidi esser Greco. Ma siccome io non sapeva assolutamente di questa lingua altro che il semplice alfabeto, ed anche malamente; io venni con molta pena a raccapezzare, compitando le lettere del frontespizio, le due parole alceste ed euripide. Onde, credendomi che il manoscritto fosse una copia della ben nota Alceste di Euripide, senza badarvi altrimenti lo buttai lá fra i libri dimenticati, come cosa che mi riusciva inutile affatto.

Successivamente poi nell’anno 1795 entratami per via d’ozio la vergogna nell’ossa, del trovarmi io giunto oramai all’etá di quarantasei anni, e d’avere da ben anni venti esercitato come che fosse l’arte delle lettere, e schiccherate fra le altre cose tante tragedie, senza pure aver mai non che studiati, ma né letti tampoco i fonti sublimi di quell’arte divina; allora solamente, (ancorché tardetto) intrapresi a leggere dopo Omero i tre Tragici Greci, cominciando da Eschilo. E li andai leggendo in quelle traduzioni latine letterali, che si sogliono porre a colonna col testo Greco. E crescendomi progressivamente sempre piú col leggere e la curiositá, e la vergogna, ed una certa tacita speranza o lusinga di poterli pure una volta ed intendere, e gustare, e sviscerare direi nel loro originale idioma, m’impelagai senza accorgermene in que-