Pagina:Alfieri, Vittorio – Tragedie, Vol. II, 1946 – BEIC 1727862.djvu/59


atto quinto 53
Rosm.   E tu, che nieghi

con un delitto d’acquistar l’amata,
freddo amator, tosto il tuo stuol disperdi.
Ildov. Ecco, spariro...
Rosm.   Or ben cosí. — Ragauso
tosto or quí rieda, e le mie guardie in armi...
Almac. Venga, deh! tosto...
Rosm.   Ecco Ragauso. — Io sono,
io son quí dunque ancor regina?
Almac.   Il sei
tu sola. Deh!...
Ildov.   Di qual di noi vuoi pria
vendetta prendi... Ma Romilda... oh cielo!...
Vuoi tu ch’io pera? ecco al mio petto il ferro
rivolgo io giá...
Rosm.   Del sangue vostro omai
l’ira mia non s’appaga. Allor dovevi
ferir tu, quando a te l’imposi: e noto
t’era qual sangue io ti chiedessi. In tempo
mi pento ancor, d’aver vendetta tanta
fidata in te, codardo; — e in te, spergiuro,
d’aver creduto io mai. — Ma, intera tengo
fra mie man la vendetta: or sí, che intera
nomarla ardisco. — O tu, che in te raguni
gli odj miei tutti, or chi sbramarli a un tratto
meglio di te può tutti? Al furor mio
tu basti, quasi. Ahi stolta! e darti io stessa
volli all’amante ríamato? a vita
te riserbar, che dai morti a me mille?
Ildov. Deh! per pietá!...
Rosm.   Trema.
Romil.   Ildovaldo!...
Almac.   Morte
spiran suoi sguardi!... A me quel ferro...
Rosm.   A lei
pria il ferro, in lei. Muori.