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atto quarto 45
scempio di me: sol di sue mani or traggi

senza indugio Ildovaldo; indi...
Rosm.   S’io ’l traggo?
Tosto il vedrai.
Romil.   Deh! se pur tanto imprendi,
il ciel propizio abbi al tuo regno; muta
l’ombra del padre ucciso a te le notti
piú non perturbi; il traditor novello,
che al fianco t’hai, vittima caggia ei solo
dell’empio furor suo. Ma, se alta troppo
impresa or fosse i lacci rei disciorre
del mio fido amator, deh! fa, che un ferro
nel suo carcere ottenga, onde sottrarsi
d’un vil rivale alla malnata rabbia.
Deh! fa, che a un tempo anzi il morire ei sappia,
che a forza niuna io non soggiacqui; e ch’io,
degna di lui, secura in me, trafitta
non d’altra man che della mia, quí caddi;
e quí, chiamandolo a nome, spirai.
Rosm. Tanto ami tu?... sei ríamata tanto?...
Oh rabbia!... ed io? — Sí, va; l’amante sciolto
rivedrai tosto;... va;... dal mio cospetto
fuggi ognor poi: giá vendicata appieno
tu sei di me; misera io resto, e farti
deggio felice... E il deggio?
Romil.   Ancor che sola
ti muova or l’ira a favor mio, men grata
non io ne son perciò: né il rio periglio,
cui stai tu presso, io vo’ tacerti. Il vile,
empio, ingrato Almachilde, ebro d’amore
lo scettro a te, la libertá vuol torre,
la vita forse: e in dono infame egli osa
offrirti a me...
Rosm.   Tu scellerato il fai;
perfida, tu...
Romil.   Me dunque uccidi; e salva,