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atto secondo 293
a inaspettato gaudio... Il cor mal regge

a sí diversi repentini affetti.
Elet. Per te finor tremammo. Iva la fama
dubbie di te spargendo orride nuove;
cui ne fean creder vere i procellosi
feroci venti, che piú dí lo impero
tenean del mar fremente; a noi cagione
giusta di grave pianto. Al fin sei salvo;
al fin di Troja vincitor tu riedi,
bramato tanto, e cosí invan bramato
da tante lune, e tante. O padre, al fine,
su questa man, su questa man tua stessa,
su cui, bambina io quasi al partir tuo,
baci infantili impressi, adulti imprimo
or piú fervidi baci. O man, che fea
l’Asia tremar, giá non disdegni omaggio
di semplice donzella: ah no! son certa,
piú che i re domi, e i conquistati regni,
spettacol grato è al cor d’ottimo padre
il riveder, riabbracciar l’amata
ubbidíente sua cresciuta prole.
Agam. Sí, figlia, sí; piú che mia gloria caro
m’è il sangue mio: deh, pur felice io fossi
padre, e consorte, quant’io son felice
guerriero, e re! Ma, non di voi mi dolgo,
di me bensí, della mia sorte. Orbato
m’ha d’una figlia il cielo: a far quí paga
l’alma paterna al mio ritorno appieno,
manca ella sola. Il ciel nol volle; e il guardo
ritrar m’è forza dal fatale evento. —
Tu mi rimani, Elettra; e alla dolente
misera madre rimanevi. Oh come
fida compagna, e solo suo conforto
nella mia lunga assenza, i lunghi pianti
e le noje, e il dolor con lei diviso
avrai, tenera figlia! Oh quanti giorni,