Pagina:Alfieri, Vittorio – Tragedie, Vol. I, 1946 – BEIC 1727075.djvu/296

290 agamennone
Elet.   Io di costui

i rari pregi ad indagar non venni.
A farti accorta del venir del padre,
il mio dover mi trasse; a dirti a un tempo,
che d’ogni grado, e d’ogni etade, a gara,
con lieti plausi festeggianti in folla
escon gli Argivi ad incontrarlo. Io pure
del sospirato padre infra le braccia
giá mi starei; ma di una madre i passi
può prevenir la figlia? i dolci amplessi,
a consorte dovuti, usurpar prima?
Omai che tardi? andiamo. In noi delitto
ogni indugiar si fa.
Cliten.   Ti è noto appieno
del mio cor egro il doloroso stato;
e sí pur godi in trafiggermi il core,
con replicati colpi.
Elet.   Il sanno i Numi,
madre, s’io t’amo; e se di te pietade
albergo in seno: amor, pietá mi stringe
a quanto io fo: vuoi, che d’Egisto al fianco
ti trovi il re? Ciò che celar tu speri,
col piú tardar, palesi: andiamo.
Egisto   Donna,
ten prego, io pur; deh! va; non ostinarti
in tuo danno.
Cliten.   Tremar non potrei tanto,
se a certa morte andassi. Oh fera vista!
Orribil punto! Ah! donde mai ritrarre
tal coraggio poss’io, che a lui davante
non mi abbandoni? Ei m’è signor: tradito
bench’io sol l’abbia in mio pensier, vederlo
pur con l’occhio di prima, io no, nol posso.
Fingere amor, non so, né voglio... Oh giorno
per me tremendo!
Elet.   Oh per noi fausto giorno!