Pagina:Alfieri, Vittorio – Tragedie, Vol. I, 1946 – BEIC 1727075.djvu/229


ATTO PRIMO

SCENA PRIMA

Numitoria, Virginia.

Numit. Che piú t’arresti? Vieni: ai lari nostri

tornar si vuole.
Virg.a   O madre, io mai da questo
foro non passo, che al mio piè ritegno
alto pensier non faccia. È questo il campo
donde si udia giá un dí liberi sensi
tuonar da Icilio mio; muto or lo rende
assoluta possanza. Oh, quanto è in lui
giusto il dolore e l’ira!
Numit.   Oggi, s’ei t’ama,
forse alcun dolce ai tanti amari suoi
mescer potrá.
Virg.a   S’ei m’ama?... Oggi?... Che sento!
Numit. Sí, figlia: al fin tuoi caldi voti ascolta,
ed esaudisce il genitore: ei scrive
dal campo, e affretta le tue nozze ei stesso.
Virg.a Al mio sí lungo sospirar, fia vero,
che il fin pur giunga? Oh quanto or me fai lieta!
Numit. Non men che a te, caro a Virginio ognora
Icilio fu: Romani entrambi; e il sono,
piú che di nome, d’opre. Il pensier tuo
piú altamente locar dato non t’era,
che in cor d’Icilio, mai: né pria ti strinse