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libro i - capitolo vi
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viene imputato, il pensiero, e chiunque finalmente, non ha la sorte di andargli a genio. Il primo ministro perciò facilmente persuade poi a quel tiranno di legno, di cui ha saputo farsi l’anima egli, che tutte le violenze e crudeltá ch’egli adopera per assicurare se stesso, necessarie siano per assicurare il tiranno. Accade alle volte che, o per capriccio o per debolezza o per timore, il tiranno ritoglie ad un tratto il favore e l’autoritá al ministro, lo esiglia dalla sua presenza, e gli lascia, per singolare benignità, le predate ricchezze e la vita. Ma questa mutazione non è altro che un aggravio novello al misero soggiogato popolo. Il che facilmente dimostrasi. Il ministro anteriore, benché convinto di mille rapine, di mille inganni, di mille ingiustizie, non discade tuttavia quasi mai dalla sua dignitá, se non in quel punto ove un altro piú accorto di lui gli ha saputo far perdere il favor del tiranno. Ma, comunque egli giunga, ei giunge pure in somma quel giorno in cui al ministro è tolta l’autoritá e il favore. Allora bisogna che lo stato si prepari a sopportare il ministro successore, il quale dée pur sempre essere di alcun poco piú reo del predecessore; ma, volendosi egli far credere migliore, innova e sovverte ogni cosa stabilita dall’altro, ed in tutto se gli vuole mostrare dissimile. Eppure costui vuole, e dée volere (come il predecessore) ed arricchirsi, e mantenersi in carica, e vendicarsi, e ingannare, ed opprimere, ed atterrire. Ogni mutazione dunque nella tirannide, cosí di tiranno che di ministro, altro non è ad un popolo infelicemente servo che come il mutare fasciatura e chirurgo ad una immensa piaga insanabile che ne rinnova il fetore e gli spasimi.

Ma che il ministro successore debba esser poi di alcun poco piú reo dell’antecessore, colla stessa facilitá si dimostra. Per soverchiare un uomo cattivo, accorto e potente, egli è pur d’uopo vincerlo in cattivitá e accortezza. Un ministro di tiranno per lo piú non precipita, senza che alcuno di quelli che direttamente o indirettamente erano autori della sua rovina a lui non sottentri. Ora, come seppe egli costui atterrare quei tanti ripari, che avea fatti quel primo per assicurarsi nel seggio suo? certamente, non per fortuna lo vinse, ma per arte maggiore.

V. Alfieri, Opere - iv. 3