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Fu allora che vide la solitudine stendersele intorno e avvolgerla come in un manto; insensibilmente portò la mano al seno e ne trasse il fiore che Pery le avea dato.

Non ostante la sua fede cristiana, non potè vincere quell’innocente superstizione del cuore: le parve, guardando l’iride, di non esser sola, ma in compagnia dell’anima di Pery.

Qual’è il seno a sedici anni, che non ricovera alcuna di quelle illusioni incantatrici, nate col fuoco dei primi raggi d’amore? Qual’è la fanciulla, che non consulta l’oracolo di un fiorellino, e non iscorge in una farfalla nera la sibilla fatidica, che le annunzia la perdita della più bella speranza?

Come l’umanità nell’infanzia, anche il cuore nei primi anni possiede la sua mitologia; mitologia più graziosa e più poetica, che le creazioni della Grecia; l’amore è il suo Olimpo, popolato di dee o di dii di una bellezza celeste è immortale.

Cecilia amava; la gentile e innocente fanciulla procurava illudere sè stessa, attribuendo il sentimento di cui era piena la sua anima a un’affezione fraterna, e occultando sotto il dolce nome di fratello un altro più dolce che le spuntava sulle labbra; ma che queste non ardivano pronunciare.

Ancorchè sola, di quando in quando un pensiero che le passava per lo spirito le accendea le guancie di rossore, faceva palpitarle il seno,