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Si fermò vicino al sofà, e accennando al corpo esanime del suo amante, pregò Pery a prenderlo nelle sue braccia.

L’Indiano obbedì, e tenendo dietro ad Isabella entrò in una stanza appartata in un’angolo della casa, e gettò quella salma sopra un letto, di cui la fanciulla aperse le cortine, piangendo come una sposa vedovata.

Piangeva perchè la stanza ove era entrata, era la sua camera, che trovava ancora popolata di tutti i sogni del suo amore; perchè il letto che riceveva il suo amante, era il suo letto di vergine casta e pura; perchè ella era realmente una sposa della tomba.

Pery, dopo che ebbe soddisfatto al desiderio della giovane, ritirossi e tornò al suo lavoro, che proseguiva con una costanza infaticabile.

Appena rimasta sola, Isabella sorrise; ma quel sorriso avea un non so che di quell’estasi del dolore, di quella voluttà di patimento, che fa sorridere nell’ultima ora i martiri e gli sventurati.

Trasse dal seno una scatola di vetro, ove custodiva i capelli di sua madre; vi lanciò sopra uno sguardo ardente, ma crollò il capo con un gesto e un’espressione ineffabile.

Avea cambiato di risoluzione: il secreto che chiudeva quell’arnese, la polvere sottile che appannava la faccia interna del cristallo, la morte che sua madre aveale confidato, non la soddisfaceva; era troppo rapida, quasi istantanea.