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saette infiammabili per incendiare la casa di don Antonio de Mariz; non potendo vincere il nemico colle armi, facean disegno di distruggerlo col fuoco.

Il modo onde apprestavano quei terribili proiettili, che ricordavano i razzi e le palle infocate de’ popoli inciviliti, era molto semplice; avvolgevano alla punta delle freccie fiocchi di cottone imbevuto di resina di almecega.

Quelle saette così infiammate, scoccate dai loro archi, volavano per l’aria e venivano a piantarsi nelle travi, nelle finestre e nelle porte della casa; il fuoco che il vento non potea spegnere, accendeva quelle materie, stendeva la sua lingua vermiglia e propagavasi per l’edifizio.

Nell’atto che erano occupati in tale lavoro, una gioia feroce animava tutte quelle sinistre fisonomie, in cui la bravura, l’ignoranza e gli istinti carnivori avean quasi del tutto cancellata l’impronta della razza umana.

I capelli arruffati cadevano loro sulla fronte e occultavano per intero quella parte nobile del volto, che è creata da Dio per sede dell’intelligenza e trono ove il pensiero dee regnare sopra la materia.

Le labbra scomposte, crispate per una contrazione dei muscoli facciali, aveano perduto quell’espressione soave e dolce che è loro impressa dal sorriso e dalla parola; da labbra d’uomini eransi trasformate in mandibole di fiere avvezze agli urli ed ai bramiti.