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— Demonio maledetto! Cane d’inferno! gridava il degno scudiero, tu me la pagherai ben cara!...

Pery, senza far la menoma attenzione alla litania di nomi ingiuriosi, di cui lo gratificava Ayres Gomes, accostassi alla casa.

Vide Cecilia, che colla faccia sostenuta dalla mano guardava tristamente il fosso profondo, che aprivasi sotto la sua finestra.

La fanciulla, dal primo istante di stupore in cui indovinò la rivalità d’Isabella e il suo amore per Alvaro, riuscì a dominarsi.

Avea la nobile alterezza della castità, e non volea lasciar vedere a sua cugina ciò che provava in quel momento; era anche buona, amava Isabella, e non desiderava contristarla.

Perciò non le disse una parola di rimprovero, nè di risentimento; al contrario la rialzò, la baciò con tenerezza, e le chiese che la lasciasse sola.

— Povera Isabella! mormorò fra sè; come deve aver sofferto!

Dimenticavasi di sè per pensare a sua cugina; ma le lacrime che le spuntarono sugli occhi, e un singhiozzo che le gonfiò il seno, la chiamarono alla sua propria sofferenza.

Ella, la fanciulla gaia e faceta, che solo sapea sorridere; ella, l’angelo del piacere, che spargeva un incanto sovra tutto ciò che la circondava, trovò un conforto ineffabile nel pianto.

Quando si ebbe asciugate le lagrime, soffriva meno, si sentì alleviata e potè allora riflettere sopra quanto era accaduto.