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Ciò di cui avea bisogno era trovar un mezzo, nel caso che soccombesse, di avvisare don Antonio de Mariz del pericolo che lo minacciava; questo mezzo erasi già presentato al pensiero dell’Indiano.

Recossi da Alvaro che lo aspettava.

Il giovane già era in preda ad altre preoccupazioni; pensava a Cecilia, alla sua affezione troncata, alla sua più dolce speranza inaridita e forse spenta per sempre.

Talvolta presentavasegli pure allo spirito l’immagine malinconica d’Isabella; e ricordavasi che ella pur amava, e non era riamata.

Questa riflessione creava un certo vincolo fra lui e la fanciulla; ambedue soffrivano per la stessa causa, ambedue provavano il medesimo affanno, e ne traevano il medesimo disinganno.

Dipoi sorgeva l’idea, esser lui che Isabella amava, e, senza volerlo, riandava nella memoria quelle parole sì piene di sentimento, rivedea quel sorriso languido, quegli sguardi di fuoco, che la mestizia rendeva sì teneri e dolci.

Pareagli di sentir ancora l’alito profumato della giovane, la pressione del capo di lei svenuto sulla sua spalla, il contattò delle sue mani, e l’eco di quei lamenti mormorati con voce tanto compassionevole.

Il cuore gli palpitava con una violenza straordinaria; e dimenticava tutto per contemplare unicamehte quella bella immagine, d’un bruno soave; quel tipo brasiliano, cui l’amore dava un riflesso e una splendida aureola.