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364 canto politico.

Non ultimo poeta,
Un saluto t’invio. Certo mia madre,
Santa com’era, divinando il figlio,
Me al nascere di panni
Tricolori fasciò. Sin da fanciullo
Arsi d’Italia, e ne la diva morta
Presentii la risorta
Del Campidoglio. Nè sotto l’infame
Staffil stranier, nè ai giorni
Esuli, o su lo strame
De le prigion col trave
Del patibolo in faccia, oh no, giammai
Non disperai. Tal che di fede ardenti
Sempre uscirono i carmi, e non discari
A le mie genti. Impavido cantore
Pria di civil dolore,
L’onesta arpa riprendo:
Del mio nativo ostello
Dico le glorie, e scendo
Contento nell’avello. —
Ma al suon di una guerresca melodia
Già varca il Re la via
Fatta dal nuovo suo battesmo altera;
Già varca i viscontei
Archi adorni di pensili trofei,
E sosta in mezzo a la superba piazza.
Chi è? che vuol? che cerca
Là, quella afflitta e pallida figura?
Chi la sospmge a fendere la calca?
Fate largo, o giocondi, a la sventura.
È una povera pazza
Son quattro dì che a un ciglio
Rimoto de le mura