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216 ore cattive.

Elevato un altar; come d’un nimbo
Cinta le avea la nobile persona
D’ideali bellezze. A la pupilla
Vittorïosa, a la moresca tinta
Di fanciulla andalusa, ella parea
Una Madonna del Morillo. I miei
Pensieri in forma d’angioletti biondi
Con l’occhio di vïola intorno al capo
Le volavano e ai piè: davanti a lei,
Simili a cinque candelabri assidui,
Ardevano i miei sensi. E col più molle
De’ versi miei le rivolgea continuo
Inni eleganti, e cupide preghiere.
Ma un dì, ridendo, da la nicchia scese
La Santa de’ miei sogni, e tramutossi
In volubile femmina. Ridendo
Gittò l’aureola di virtù prestate
E incomode dal fronte, e lo ricinse
D’una corona di farfalle: e mentre
Le dava il passo, attonito, m’infisse
Uno stiletto freddamente in core.
Poscia irruppe all’aperto e da le vesti
Una maschera trasse, una di quelle,
Onde celebre un tempo iva Rïalto;
E ascoso il volto, e dato il braccio a fatui
Giovani ignoti, volò via danzando
Per una china lubrica di fango;
Nè la rividi più. Così ferito
M’inginocchiai pregando a Dio clemente
Che tuttavia quella crudel vegliasse.
Indi rimasi fra la gente lieta,
Come in limpido cielo una sinistra
Nube di grandin carica e di lampi.