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FRANCESCO MIO...

Aveva tanta sensibilità e fantasia così primitiva, tanta cedevolezza alle impressioni e ingenuità di commozioni che gli bisognava umanare tutte le cose; e se queste doti bastassero da sole a fare un poeta, sarebbe stato un poeta ammirato fors’anche dai critici e dagli editori, ricco e felice. Mancandogli quel che gli mancava era invece soprannominato Mattucco, e campava di piccole mance e di carità.

Di solito, badava ai birocci e alle birocce che si fermavano davanti alle osterie e alle botteghe del paese, e, deriso dagli uomini, si intratteneva in seri colloqui con i buoi, i cavalli e gli asini.

Delle bestie interpretava a meraviglia i moti del cuore e del cervello, per non dire l’animo e le idee; e nelle bestie trasferiva l’animo suo e il suo pensiero con semplicità adeguata: poteva così indovinarne e riferirne a sè stesso, a voce alta e chiara, domande e risposte. E chi si doleva con lui del padrone manesco, e chi dei tafani tormentosi, e chi del carico soverchio. Capitavano mamme che avevano il vitellino o il cavallino o l’asinino