Pagina:Albertazzi - Top, 1922.djvu/215

La casta Susanna 213


Non capivo: non potevo capire il pericolo in cui per colpa non mia correva il nostro amore. Esperto del mondo e della donna avrei risposto: sì. Concedere per forse ricuperare.

Invece, con gli occhi pieni di lagrime, l’invocavo: — Adriana! Adriana! — La scongiuravo: — Non farmi soffrire!

— Non soffro anch’io? — gridò irritata dalla mia debolezza, muovendosi per avviarsi. E ad ultima difesa io ebbi un sorriso amaro e dissi: — Un pudore esagerato! — Schifiltoso, volevo dire; assurdo a pensarlo!

Lei, senza ribattere, si avviò.

Mi mordevo le labbra per non rompere in pianto. Pensavo e non sapevo che pensare. Perduta! Tutto sarebbe stato inutile... Perduta!

Tutto inutile?

Ah costringerla a voltarsi, a insolentire, a schiaffeggiarmi! Forse era, col pentimento di lei, la salvezza, dopo!

Sghignazzai; gridai:

— La casta Susanna!

Ma Adriana non si voltò.

Era finita.

***

Laggiù, nel praticello della Landa, dove lei non sarebbe tornata mai più, io piansi. Eppoi inveii