Pagina:Alamanni - La coltivazione.djvu/52

Qual han le piante sue patria più cara,
Qual aggian qualità: chi brame il sole,
615Chi cerchi l’aquilon; chi voglia umore,
Chi l’arido terren, chi valle o monte;
Chi goda in compagnia, chi viva sola.
Veggia il dolce arbuscel che Bacco adombra;
Veggia l’arbor gentil da Palla amato,
620Il parnassico allor, l’aurato cetro,
Veggia il mirto odorato, il molle fico;
Veggia la palma eccelsa, il poco accorto
Mandorlo aprico che sovente pianse
Tardi i suoi danni, ch’anzi tempo (ahi lasso!)
625De’ suoi candidi fior le tempie cinse;
Veggia il granato pio, che dentro asconde
Sì soavi rubin; la pianta veggia,
Che Tisbe e ’l suo signor vermiglia fero,
La cui fronde ha virtù ch’il verme pasce
630Che ’n sì bella opra a sé medesmo tesse
Onorato sepolcro e morte acerba,
E dai Seri e dagl’Indi il filo addusse
Onde il mondo novel si adorna e veste;
Veggia il persico pomo; e veggia come
635Il temprato calor, la lieta stanza,
Il mirar chiaro e bel sovente il sole,
Gli fa belli, e venir di frutti pieni.
Ma l’irsuta castagna, il noce ombroso,
L’acerbissimo sorbo, il pino altero,
640