Pagina:Alamanni - La coltivazione.djvu/230

Non avrem piogge allor; ma dolce e chiara
Verrà l’aura gentil crollando i rami.

Così ne mostra il Sol, chi ben l’intende,
400Quel che la notte, il dì, l’estate e ’l verno
Deggia Zeffiro far, Coro, Euro e Noto,
E l’ore a noi portar serene o fosche.

Or senza alta tener la vista al cielo,
Mill’altri segni aviam, ch’aperto fanno
405Quel che ci dee venir. Non sentiam noi,
Quando s’arma Aquilon per farci guerra,
Sonar d’alto romor gran tempo innanzi
Le selve alpestri, e minacciar da lunge
Con feroce mugghiar Nettuno i liti?
410I presaghi dalfin fuggirse a schiera,
Ove il futuro mal men danno apporte?
E se dall’alto mar, con più stese ali
Rivolando tornar si sente il mergo,
E con roco gridar fra cruccio e tema
415D’un non solito suono empier gli scogli;
O se l’ingorde folaghe intra loro
Sopra il secco sentier vagando stanno;
O il montante aghiron, poste in oblio
Le native onde sue, paludi e stagni,
420Consideriam fra noi volando a giuoco
Sopra le nubi alzarse; allor chi puote
Ratto schivar il mar, si tiri al porto;
E chi ne sta lontan, nei voti appelli