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Dio, rabbiosi e secchi
E caldi fiati aviam; né stanno in posa
Tra i liti sicilian l’eterne incudi.

Con più terribil suon procelle e turbi,
185Qualor Libra o Monton pareggia i giorni,
Saette al caldo ciel, poi folte nevi
Quando è più breve il dì, dal quinto foco
Nascon, dove ei talor rivolga il guardo
Nel gran Superïor: se Giove ha in vista,
190Tempestoso pur vien, ventoso e torbo;
Né per nuova stagion la voglia cangia.
Se ’l gran padre e ’l figliuol ch’ebbero ognora
Sì diverso il voler s’incontran pure
O coll’occhio o col piè (che raro avviene);
195Torbido e grave umor, tempeste e fuoco
Mandan per l’aria; e fanno al mondo fede
Che mai nulla fra lor fu pace e tregua.

Vuolsi saper ancor chi monti o scenda,
E chi sia presso al Sol, chi sia lontano
200Dei celesti Animai, dell’altre stelle
Che stan fisse tra lor, né cangian loco,
Se non quanto le vien dal cerchio ottavo
Che nei cento anni appena un passo muove.
Quando al tempo novel dapprima il Sole
205Al felice Monton le corna indora,
L’accompagnan quel dì Favonio e Coro.
Poiché verso il mattin, quasi in un punto