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Che seccò nel settembre, i verdi rami
Di timo e rosmarin, dell’aspra galla,
Del dolce mellifil, della cerinta,
265Della centaurea, del fiore aurato
Che gli antichi chiamâr nei prati amello,
La radice di cui bollendo in vino,
Vien medicina e cibo in tale stato.

Or che l’opre maggior n’han dato loco,
270Esca il saggio cultor nei campi suoi
Cogli strumenti in man, donando loro
Quanto possa miglior forma e misura:
Perché possa dappoi, contando seco,
La sementa saper, l’opere e i giorni
275Ch’ivi entro ingombra; e che sicura faccia
Dispensar e segnar le biade e ’l tempo.
Il quadrato più val: ché non è solo
Più vago a riguardar, ma ben partito
In ogni suo canton, può meglio in breve
280Per le fosse sfogar l’onda soverchia;
Purché non molto di grandezza avanzi
Quel che rompe in un dì solo un bifolco:
Perché il dannoso umor che troppo lunge
Aggia il varco maggior, nel campo assiede.
285Nella piaggia e nel colle ove egli scorre
Più licenzioso assai, più spazio puote
Cinger d’un fosso sol: ma ponga cura
Ch’ei non rovini in giù rapido e dritto;