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Capitolo ottavo. 153

suno pensa a prenderli a modello e migliorare la propria abitazione.

In quello che può soddisfare la loro vanità, invece, hanno conservata buonissima memoria, e il sentimento dell’aristocrazia è inveterato quanto ridicolo in loro. Basta venire sul discorso e tutti vi diranno di discendere da stirpe reale o principesca, d’aver dominato in famiglia intere provincie per dei secoli, d’aver posseduto centinaia di villaggi, di avere i loro avi guidati, sempre alla vittoria, potenti eserciti, d’aver portati i primi titoli di nobiltà abissinese. Una stilla del sangue di Salomone dovrebbe essersi sparsa nella linfa d’ogni albero genealogico di questa buona gente, felice forse più di noi e forse troppo ragionevole di volersene star lontana dalla civilizzazione.

Abbiamo oggi, è vero, l’esempio di un popolo che in pochi anni abbracciò tutto quanto trovò di bene nella civiltà europea, svestendosi, con raro esempio di abnegazione, da tutti i pregiudizii inveterati dalle antiche usanze del sistema feudale che da secoli lo reggeva. Ma l’Abissinese non farà certo quanto fece il Giapponese, per quanto la tradizione dell’antica civiltà non gli dovrebbe essere che stimolo, mentre nel Giapponese la sostituzione di un’altra alla civiltà propria dovette forse essere se non un inciampo, certo un ritardo al suo progredire.

La razza abissinese è bella, il tipo lanciato, snello, elegante. La tinta varia dall’olivastro al marrone, più chiara verso la costa e sempre più cupa nelle province dell’interno. L’uomo è piuttosto alto, non secco nè pingue, ma muscoloso, raramente ha barba, l’occhio vivo, i denti bellissimi, il naso spesso leggermente aquilino, sempre, come le labbra, regolare. Le donne hanno tutte le belle qualità dell’uomo, aggiungendovi che la bellezza delle forme e la semplicità del costume le rende assai provocanti: mani e piedi piccolissimi e bellissime attaccature. Anche nel maschio è spesso ammirabile la piccolezza della mano e del