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le mani nella roba altrui; e vecchi finiscono in chiesa a biascicare i salmi penitenziali. I due avevano la fanciulla in mezzo, e sebbene giovani, un pittore avrebbe potuto fare dei loro visi i due vecchioni cotticci di Susanna. Già si rallegravano colle occhiate del buon termine cui speravano condurre chi sa che ribalderia; quando s’udì un grido tra la folla, un grido come d’uomo che tastandosi sotto i panni si trovi rubato.

«Tecla! Tecla! — e un volgere di teste, un mareggiare della gente, un moto di braccia tenne dietro a quel grido; percossa dal quale, Tecla si riscosse, e vedendosi allato i due sconosciuti, pieni gli occhi di non sapeva qual fuoco, si sentì al viso le vampe, e potè appena rispondere; «Son qui!»

Colui che l’aveva chiamata era lo zio, accortosi improvvisamente di non averla più vicina; ma primo a romperle attorno la calca fu Rocco, il quale capitando appunto, aveva riconosciuta la voce del cognato e quella della figliuola.

«Largo! largo! — gridava egli lavorando di braccia; — cognato, Tecla son qua io! — E si mostrava di subito così indraghito che guai a chi si fosse avvisato di rattenerlo; guai a chi aveva fatto male alla fanciulla; guai a quei due, che non la stringevano più, ma che non si poterono cansare, quando egli per disopra le loro spalle potè porle la sua larga mano sul capo, gridando: «è mia!»

«O chi ve la vuol mangiare? — sclamò uno dei giovani dalle male voglie, vedendosi guardato da Rocco a squarciasacco.

«So dir che sì! — rispose Rocco, cui l’istinto paterno ammoniva del vero; ma ravvisando colui per uno dei quattro, che la notte innanzi, fuggendo dalla cella del padre Anacleto, s’erano imbattuti in lui e nel signorino: «lei, — soggiunse — lei, lo so che cosa è buona a fare... ma...! — e si morse la lingua, perchè il giovane era di casato da fargli sudar le tempia. Baciò come si suol dire il bastone; e gli parve un bel che, poter uscire di quel passo colla figliuola.